God of War

Ritorno: in arrivo novità!

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Darkciccino3006
view post Posted on 5/8/2009, 14:52




Buonasera a tutti quanti, nonostante questo sole che spacca le pietruzze in Sicilia, da dove vi scrivo!
Signore Signori, quei pochi che si ricorderanno di me, negli andati tempi di fine 2007/inizio 2008, sapranno chi sono! Per gli altri, lo scoprirete presto...
Ho riletto con piacere i vostri commenti nelle discussioni passate, quali Dark Angel e l'Inumano e devo dire che... Mi dispiace! Mi dispiace essere mancato tutto questo tempo, sarà ormai un anno e qualcosa; purtroppo situazioni tra scuola, casa e salute (apparte continue idee che si accavallavano), hanno portato all'interruzone (su questo forum, ma non sulla carta) della stesura di entrambe le sotrie.
Ovviamente ho continuato a scrivere, finendo definitivamente il primo Dark Angel che, mi dispiace, non posterò su questo forum per ovvi motivi e chi non ricorda o non sa, riassumo io in poche parole: postai tempo fa una storia su un mio quarto Prince of Persia, qualcuno la trovò e la postò sul forum ufficiale del gioco spacciandola per sua! Successe un piccolo casino e decisi di non postare più nulla per un pò...
Dark Angel su questo froum non esiste più, idem per l'Inumano, ma non vi preoccupate, perchè il mio ritorno ha con se una ventata di novità: chi volesse notizie su Dark Angel vi dico che i 3 libri sono diventati 4, mentre il numero di progetti è aumentato diventando 11 definitivi. Le storie dei vari personaggi degli 8 libri (i 4 di Dark Angel e altri 3 +1 che sono storie differenti) di cui sono protagonisti, si ricoleggheranno alla fine ad altri 3 libri. Insomma il progetto è complesso, in continua espansione, e costantemente aggiornato!

Passando alle novità più succose: L'Inumano continua qui, su questa sezione del forum, riscritto. Il motivo è perchè è un progetto molto lungo da realizzare, quasi impossibile e di conseguenza non prevedo alcuna pubblicazione. Vorrei solo evitare che accada ciò che è successo con il quarto Prince of Persia: ovvero che le storie circolassero in giro per mano di altre persone che le spacciano per proprie! Non credo sia giusto che il lavoro di una persona debba essere "distribuito" sulla rete, o peggio, pubblicato nelle librerie, quando questo lavoro non appartiene a chi non lo ha scritto veramente! Prego cortesemente gli utenti più "furbetti" (e io cercherò di trovare una soluzione comunque) di rispettare questa piccola nota e se volete proprio copiarvi qualcosa, è solo per leggerlo sulla carta dato che il computer non è l'ideale per una cosa del genere e io ne so qualcosa!

Detto questo, e scusate se mi sono dilungato troppo, auguro una buona permanenza a tutti quanti (sia coloro che sono qui da tempo, che i nuovi, e quelli che verranno) e una buona lettura con ciò che posterò presto, o almeno spero!
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Metto una piccola storia che ho scritto poco tempo fa, praticamente la più recente di tutte, giusto per riportarvi nel mondo fantastico a cui vi eravate abituati ai tempi andati! Buona lettura! ^_^

L’Albero della Vita

Il mare: fu la prima cosa che comparve agli occhi dell’oscura figura comparsa improvvisamente sulla cima della collina. Adesso era ferma, in piedi sulla collina, avvolta nel suo mantello nero e il cappuccio che le ricadeva sulla testa, ma non copriva gli occhi… Quelli le servivano per imbalsamarsi ogni volta che raggiungeva la cima di quel luogo fantastico ed osservare il mare, quella distesa calma come una tavola che la rilassava. Il colore del cielo e del tramonto si riflettevano sulla superficie liquida creando come una grandissima coperta, a Signora Morte quella distesa creava uno stato d’animo che andava dall’incantato, al frustrato alla totale perdita di tutti i sensi!
Signora Morte non poteva fare a meno di notare come lei e quella infinita distesa blu fossero simili, come qualcosa di magico li accomunasse. Forse era il profumo che saliva cullato dal vento verso la collina, forse era il magico colore del tramonto che lo colorava di oro e arancio o forse, più semplicemente, era quel movimento, la risacca, che portava avanti e indietro le onde facendole sbattere contro il bagnasciuga.
Sì, era proprio questo che la faceva incantare ogni giorno per almeno dieci minuti di fronte alla superficie liquida.
Il mare, che con il suo continuo avanti e indietro assumeva contemporaneamente due compiti: quello di portare e prendere via qualcosa di importante. Come la vita e la morte che a loro piacimento e senza preavviso regalano qualcosa di bello, ma che in cambio richiedono una ricompensa. Signora Morte era così e non poteva fare a meno di dare questo significato alla sua “vita”.
La figura rimase li, con il suo mantello nero che sfiorava l’erba e si piegava con i capricci del vento; poi qualcosa la fece ritornare in se, qualcosa le fece ricordare che aveva da fare, doveva completare il suo lavoro, le sue mansioni giornaliere. Con indifferenza e dolore allo stesso tempo, si costrinse a distogliere gli occhi da quello spettacolo e si incamminò verso la discesa, verso quella che da millenni era la sua casa.
Il mantello frusciava nella collina ad ogni passo di quella creatura dal volto stupendo, lo stesso volto che millenni addietro aveva fatto innamorare un dio, l’unico con cui sarebbe potuta convivere una donna come lei, l’unica divinità che avrebbe potuto sostenere lo stesso dolore e lo stesso peso delle conseguenze che avrebbero avuto certe decisioni. Ma la verità era che il lavoro di entrambi li impegnava moltissimo e rare erano le volte in cui riuscivano a stare molto tempo assieme; quello era un giorno di questi.
C’era un pensiero che ogni tanto le balenava in mente: in tutti quei secoli, non avevano avuto nemmeno un figlio, nemmeno l’ombra di un tentativo di un possibile rapporto che andasse verso i piaceri carnali. Ma… Loro erano due divinità, due Angeli dal calibro elevato, vicini a Dio più di quanto si possa pensare, secondi solo a Gesù in persona. Non potevano perdersi in simili sciocchezze: il sesso e i bambini erano i capricci di quella stupida razza di cui facevano parte gli uomini. Ma allora perché le veniva quel pensiero ogni tanto? Si costrinse dunque a ricacciarlo da dove era uscito, con la promessa che non ne sarebbe più uscito fuori!
La donna percorse gli ultimi metri della discesa e cominciò ad intravedere qualcosa da lontano, come una torre piccolissima all’orizzonte. La spiaggia aveva cominciato ad accostare il mantello di Signora Morte quando questa era già ad una cinquantina di metri da quello che cominciava a prendere le sembianze di un albero nodoso ma elegante. Ancora una volta il mantello di raso nero sfiorava l’erba con indifferenza, ma era come se la natura si ritirasse a quella presenza e continuasse a sfiorarla, ingannando le proprie dimensioni a Dio stesso.
Ad una decina di metri apparve di fronte alla donna uno spettacolo che avrebbe fatto rimanere impressionato chiunque si fosse fermato ad osservarlo: ai piedi di Signora Morte si estendevano le radici di un albero dalle dimensioni ciclopiche, i suoi rami erano nodosi ma ascendevano verso il cielo potenti come spuntoni di roccia. Solo Dio poteva creare un monumento alla natura come quello, in modo tanto scenografico! Era questo un albero che sembrava la fusione del più immenso baobab, per la sua struttura, e di un salice piangente per alcuni rami che si piegavano verso il basso creando così un effetto ad ombrello e a cascata, il quale offriva un’ombra perfetta e un fresco perenne anche nelle stagioni più calde.
Ma Signora Morte ci era abituata, ormai non ci faceva più caso all’imponenza di quel colosso, per questo motivo quando lo vide, quando il suo sguardo inquadrò l’Albero della Vita, si asciugò gli occhi stanchi e sospirò pesantemente.
In realtà, se si guardava attentamente tra le radici e tra le fronde dell’albero, si poteva notare qualcosa che contraddiceva in tutto e per tutto il nome di quel monumento. Era qualcosa che compariva ogni qual volta Signora Morte tornava dal suo solito viaggio di routine attorno al Mondo, qualcosa che avrebbe fatto paura a chiunque avesse aguzzato lo sguardo per un secondo in più, soprattutto puntando gli occhi tra i rami più alti.
Il primo corpo sul quale si posarono gli occhi della donna era quello di Matt; un uomo sulla quarantina, un padre di famiglia e un onesto lavoratore. Chiunque lo avesse conosciuto bene, lo avrebbe potuto definire un gran bastardo nei modi di fare, ma anche un uomo dal cuore gentile come ne esistevano pochi. Ma per prima cosa, Matt era un soldato e nel momento della sua morte si trovava in piena battaglia in un territorio della Francia meridionale che sembrava ormai abbandonato dai ribelli. Ma non era così a quanto pare: il suo gruppo di dodici soldati aveva ricevuto l’ordine di andare a sorvegliare la zona e ripulirla di eventuali parassiti; ma questi ultimi erano davvero troppi per essere un cumulo di sopravvissuti e l’imboscata fu letale.
Signora Morte aveva provveduto a dirigere il proiettile mortale entrando in fusione con esso, la sua traiettoria era calcolata e già prestabilita da una forza superiore alla donna, lei doveva solo renderlo letale: il proiettile lacerò la pelle, il tessuto del polmone sinistro entrandovi del tutto e bruciato le pareti del cuore. Il suono di questo ultimo muscolo entrò in sincrono con quello di Signora Morte, ma solo quando aveva cominciato a decelerare in modo spaventoso: solo in quel momento i due cuori potevano essere in perfetta sincronia, perché la donna era perfettamente calma.
Visse gli ultimi istanti di vita assieme all’uomo: in un solo istante l’uomo portò alla mente l’immagine di sua moglie e della sua piccola Sarah di dieci anni, entrambe persone che amava e che stava per lasciare sole, in balia ad un mondo crudele e ostinato. Nelle mani della morte stessa.
Il sangue di Matt aveva macchiato il terreno pietroso e arido della Francia e con quelle ultime gocce piene di ossigeno, di vita, l’uomo lasciò per sempre il mondo dei vivi per essere accolto nelle braccia di Dio Padre. Era proprio questa la parte che Signora Morte odiava più di tutte, da qualche secolo a questa parte: se prima sentire le loro urla, il loro dolore e le loro stupide menti invocare Dio per una seconda possibilità, poteva procurarle qualche piacere, adesso si straziava con loro, sentiva qualcosa dentro di se lacerarsi con la vita di coloro che erano destinati ad abbandonare il Mondo.
Accanto al corpo del soldato, sostava quello di Ylenia, morta a causa di una malattia trasmessa in seguito ad un rapporto con il suo ennesimo cliente. Poi vi erano i piccoli Sandro e Matteo, giovani italiani in vacanza , morti durante una rapina in banca. Chissà se avevano sentito dolore, se si erano almeno resi conto di ciò che gli era successo: il primo dei quattro ladri aveva aperto il fuoco puntando a caso appena entrato nell’edificio.
Ma non aveva alcun motivo per provare compassione alcuna per queste persone, in fondo non aveva alcuna colpa per quello che faceva. Non poteva provare compassione, nonostante le stessero sfuggendo alcune lacrime, non doveva, per due semplici motivi: la partenza dal mondo Terreno verso quello Divino era un bene per molti e un male per alcuni; in secondo luogo lei eseguiva solo gli ordini. Lei era il boia e una creatura come lei non poteva provare assolutamente alcuna compassione. Ma allora perché quelle lacrime, perché quei pensieri lungo i suoi viaggi, perché tutta quella sofferenza dentro il suo cuore? Non lo aveva mai ammesso, ma quel lavoro aveva cominciato a farle seriamente schifo. Perché?
Signora Morte sospirò nuovamente, si passò la mano destra sugli occhi lucidi, tirò su con il naso e cercò di calmare quello che doveva essere il battito di un cuore, il suo; appoggiò il suo strumento di lavoro sul possente tronco dell’albero: era una falce dalla lama molto affilata e un’aria pesante, ma in realtà era più leggera di quanto si potesse pensare; il manico era rosso cremisi ricavato dal legno dell’Albero della Vita stesso.
Alzò la testa e cercando di penetrare con gli acutissimi occhi le fronde, osservò con indifferenza centinaia di corpi appesi tra i rami: se coloro che erano morti di salute o vecchiaia o altro, si trovavano ai piedi dell’Albero, avrebbero avuto qualche possibilità di salvarsi e andare in Paradiso o nella Torre del Destino; quelli impiccati tra i rami erano i suicidi e quelli non avevano assolutamente alcuna possibilità di salvezza: l’Inferno era la loro prossima tappa.
Erano tutti in uno stato di “sonno”, ma in realtà erano tutti morti: le loro anime erano già in tutt’altro posto e ai piedi dell’albero, tra i suoi rami, vi erano solamente i corpi!
Signora Morte, osservando quella massa di impiccati e uomini e donne e bambini che avevano rifiutato il dono della vita, cominciò a rendersi conto del fatto che quel giorno, quel momento, avrebbero continuato a ripetersi in eterno senza alcuna soluzione di continuità. Cercò, quindi, di prendere forza, farsi coraggio e liberare la mente. Intonò, prima lievemente poi con più tono, una canzone che aveva sentito in una notte tragica per un ragazzo che aveva bevuto troppo.
Con uno slancio si arrampicò su per il primo ramo e poi con un altro energico salto arrivò al quinto ramo di quell’immenso colosso. In quel ramo vi erano una decina di corpi e, continuando a canticchiare, Signora Morte prese un coltellino del mantello e con quello cominciò a tagliare le corde che tenevano appesi i corpi. Il primo era di un uomo grasso, cadde nel vuoto e atterrò sopra la distesa verde ai piedi dell’Albero con un sonoro splat!
Il lavoro continuò per una buona ora e mezza: tagliare corde e osservare corpi cadere tra i rami, sentire di tanto in tanto qualche schiena spezzarsi a causa di un ramo di troppo durante la caduta. Alla fine, sull’erba, giacevano centinaia di corpi morti sparsi per tutta la collina e attorno all’Albero. Signora Morte adesso sedeva stanca sulla cima, tra i rami più alti e osservava il tramonto incantata.
Una volta, mentre osservava il Sole nascere, prima di cominciare a lavorare, aveva meditato su una discussione avvenuta tra suo marito, l’Angelo Destino, e un ragazzino di quindici anni stanco della vita. Il piccolo e gracile Alex era un ragazzino come tutti gli altri, non aveva nulla di diverso dai suoi amici, solo una spiccata fantasia che gli invidiavano tutti quanti.
Tutti tranne i suoi genitori. Per questo motivo, sembrava che qualunque cosa facesse, non andasse bene a loro: tentava di compiacerli in qualsiasi modo, ma tutto ciò che faceva sembrava inutile. Ai suoi genitori importava della scuola, importava di quello che dicevano gli insegnanti e che il bambino prendesse voti buoni.
In quel campo, però, Alex aveva cercato di mettercela tutta, aveva cercato di sforzarsi, aveva utilizzato persino la sua creatività, la sua immaginazione, ma questa cosa non andava bene a tutti i suoi professori e quando si rese conto che l’unica cosa in cui era bravo non lo realizzava, che non gli sarebbe servito a nulla, aveva deciso di chiudere i battenti per sempre. Ma qualcuno lo fece desistere e non furono i suoi amici!
Ad un passo dalla morte, mentre Alex stava sul bordo del balcone della sua stanza in un vicolo che dava sulle sfavillanti luci di Sydney dalla quale si potevano osservare le stelle più belle, il ragazzo ebbe la visione di una creatura lucente che calava dal cielo. Aveva sembianze umane, ma non apparteneva a quella stupida razza, aveva il torso completamente nudo e la prima domanda che si pose Alex fu come non potesse sentire freddo, indossava pantaloni bianchi candidi con dei lacci all’altezza della cintura che sembravano galleggiare nell’aria come se la creatura fosse immersa in mare.
I suoi capelli erano tirati indietro ed erano biondi come il grano, la pelle non era proprio rosea e il ragazzo non era del tutto sicuro che quel rivestimento lucente fosse pelle, ma di sicuro teneva caldo. E infine, la cosa più importante, quella creatura possedeva un paio di candide ali che non avevano la forma di quelle degli uccelli e nemmeno di quelle degli Angeli che si è abituati ad immaginare. Sembravano piuttosto un misto tra i due tipi ed erano bianche come la luce del Paradiso. Alex non aveva mai visto il Paradiso, ma quello fu il primo pensiero che gli venne in mente.
“Cosa hai in mente, piccolo Alex?” chiese l’Angelo. Il ragazzo rimase impassibile e continuò a guardare la creatura imponente che gli si poneva di fronte a mezz’aria.
“Il Signore ha progetti molto importanti per te, caro ragazzo: non è ancora il tuo momento!”
“Mi chiedo che senso ha una vita con dei genitori opprimenti e incontentabili, dei professori che ti fanno dipendere dai numeri e… Una fantasia sconfinata che non riesco a sfruttare per ciò che vorrei!”
L’Angelo lo guardò come incuriosito, poi si avvicinò piegandosi all’altezza del ragazzo e gli sussurrò una frase all’orecchio, una frase che lo avrebbe fatto rinascere dentro.
“Vedi piccolo Alex: l’uomo può benissimo decidere di farla finita prima del previsto! Si chiedono tutti quale sia il senso della vita, ti dirò che il senso della vita è ciò che si diventerà: sei tu il senso della vita! Quello che decidi di essere… Non è tanto per le persone che lasci in questo momento, ma per quelle che entreranno a far parte della tua vita in futuro!”
Alex rimase basito a quelle parole e vide Destino allontanarsi nel cielo con un ultimo sorriso rivolto al ragazzo e al mondo intero.
Dio confidò molto nel futuro di quel ragazzino pieno di vitalità e creatività: infine divenne un importante pittore e scrittore che fece sognare il mondo intero con le sue opere e le sue storie. Una malattia se lo portò via all’età di quarantotto anni, ma questo fece di lui un martire e un uomo famoso: anche dopo la sua morte, il mondo intero lo ricordò come l’uomo che rispecchiava la libertà in persona e l’unico che avesse davvero capito come vivere. Il giorno in cui Destino salvò la vita del ragazzo, Signora Morte era dietro di lui, ma Alex non l’aveva vista: era andata con il marito nell’eventualità in cui il ragazzo non avesse cambiato idea e avesse deciso di spiaccicarsi al suolo come uno dei corpi che lei faceva cadere dai rami dell’Albero della Vita. Lei doveva solo dare la spinta fatale, il resto sarebbe avvenuto da se.
Eppure però, da quella notte, Signora Morte non faceva altro che ripassarsi quella frase nella testa e cercava di capirne il significato; più ci pensava e più si rendeva conto che dal suo punto di vista, nella sua condizione, quella frase perdeva qualsiasi significato. Eppure era sicura che un senso c’era, doveva solo trovarlo, sarebbe venuto a tempo debito.
Mentre ci pensava prese una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca per le emergenze e la accese. Inalò la prima boccata come se stesse cadendo in trance, chiudendo gli occhi, lasciando la sua mente a vagare. Ci fu un movimento prima sopra la sua testa, poi dietro di lei. Un fruscio e uno spostamento di rami.
“Vita…” mormorò lei.
“Teleyte, mia cara, c’è qualcosa che ti turba?” Signora Morte, sentendosi chiamare con il suo vero nome, aprì un solo occhio lasciando l’altro chiuso e sbirciò. Di fronte a lei adesso stava una creatura che non aveva nulla di umano, tranne per la corporatura. Aveva la pelle lucida come un manto di acqua, la testa calva e liscia, i suoi occhi erano grandi come due mele e al posto del naso stava un rigonfiamento lieve con due fessure. La bocca era larga quando parlava.
Se lo si guardava bene, si potevano notare delle linee affusolate che percorrevano tutto il corpo della creatura, si muovevano e cambiavano forma in continuazione, come se danzassero.
Signora Morte notò come fosse alta e all’apparenza gracile quella creatura, ma sapeva che possedeva una forza immensa. Le sue braccia erano lunghe e le dita nodose come tanti rami contorti che finivano con un unghia affilata come un pugnale.
“A dire la verità si, Cyrus…” mormorò la donna tirando una terza volta la sigaretta.
“Hai voglia di parlarne?” chiese la creatura che si era accovacciata alla destra della donna, adesso guardavano entrambi la magia del tramonto. Teleyte espirò una gran boccata di fumo e questo si dissolse nell’aria.
“Guarda, Cyrus… Hai mai visto qualcosa di tanto stupendo come il colore di questo cielo?”
La creatura non guardò il mare, né il sole morire: continuò a guardare la donna che gli stava al fianco e che fumava di gusto una sigaretta terrena.
“I quadri di Dio sono delle vere opere d’arte, anche quando sono cose semplici come giochi di luce… Ma tu hai il cuore tormentato da qualcosa, donna!” esclamò la creatura con aria preoccupata. La donna sospirò, chiuse gli occhi e poi parlò.
“Non lo so… Pensavo…”
“A cosa?”
“A ieri, a oggi, a domani, a dopodomani e a tutti questi giorni infiniti che ho trascorso e a tutti quelli che verranno: uguali come tutti gli altri!”
Cyrus continuò a guardare la donna, questa volta con un lieve sorriso sul viso, un sorriso di compassione e da li la donna comprese che la creatura aveva già intuito qualcosa di ciò che la tormentava.
“Il fatto è che penso! Si credo che sia proprio questo: sto cominciando a pensare!” disse di colpo lei con la voce tremante, lo disse con un tono che la fece assomigliare ad una bambina impaurita, come se le parole che avesse appena pronunciato fossero letali perfino per lei che era una divinità, un Angelo.
Il suo respiro, da regolare, si velocizzò leggermente. Anche suo marito si era accorto, da un centinaio di anni a questa parte che Teleyte non era più la stessa: aveva il volto più pallido del solito, un’espressione stanca, gli occhi infossati che le si vedevano le occhiaie nere. Ma soprattutto era il colore azzurro degli occhi, quel colore che prima faceva splendere i suoi occhi come una stella, cominciavano a perdere luce, come se le stelle rinchiuse dentro lei, si stessero spegnendo.
“A quanto pare è una cosa frequente, ultimamente…” mormorò Cyrus.
“Già…” mormorò la donna. Ci fu un attimo di pausa come se Teleyte stesse cercando le parole giuste e poi riprese a parlare.
“Hai… Hai mai pensato al fatto che la tua, la nostra, vita… No, non vita: non ci è stato dato questo privilegio! La nostra esistenza può essere differente da quello che è adesso?”
Cyrus guardò la donna con un’espressione di curiosità in volto e un mezzo sorriso che andava allargandosi man mano che passavano i minuti.
“Sì, a dire il vero sì mia cara!”
“E cosa hai provato?” incalzò la donna.
“Un senso di libertà, ma mi sono anche reso conto che le cose così come sono non possono essere cambiate! Possiamo solo immaginare esistenze diverse, ma non possiamo viverle…” rispose la creatura rivolgendo lo sguardo al tramonto. In quel momento le linee azzurre e grigie del corpo cambiarono il loro disegno raggruppandosi per la maggior parte nel viso di Cyrus creando come una maschera.
Signora Morte allora chiuse di nuovo gli occhi, tirò ancora una volta la sigaretta e, con quella che sembrava un’aria di rilassamento, espirò il fumo bianco quasi con dolcezza.
“A quale scopo immaginare la vita diversa da come è adesso, se si sa che non sarà mai come la si immagina? Ci si fa solo del male…”
“A quale scopo la razza umana sogna e desidera?” chiese allora Cyrus rivolgendo i grandi occhi neri a quelli blu scoloriti di Teleyte. La donna guardò corrucciata la creatura e rimase nel dubbio della risposta a quella domanda. Adorava discutere con Cyrus perché ogni volta le si aprivano nuove strade verso nuove verità, era proprio vero: non si smetteva mai di imparare e Teleyte, dopo millenni, aveva ancora molto da scoprire.
Ci fu un altro movimento dietro i due, meno furtivo di quello di Cyrus e di fronte a loro si pose un umanoide del tutto simile a Cyrus, tranne che per i colori delle sue strisce cangianti: erano rosse.
“Signora, suo marito è appena tornato, sarà qui a momenti!” annunciò la creatura.
“Grazie Solaris, scendo subito…” disse la donna sorridendo al nuovo arrivato. Ma era un sorriso falso, non verso Solaris, verso l’universo intero.
“Teleyte, aspetta…” disse Cyrus bloccando la donna per un braccio. Lei lo guardò stupita. La creatura protese la sua mano destra a palmo aperto verso la donna che intanto aveva notato un’espressione di preoccupazione e frustrazione in Solaris. Ci fu un bagliore lieve nel palmo e vi spuntò un oggetto non più grande di un mandarino: aveva dodici lati perfettamente intagliati e uguali tra di loro, la superficie sembrava di vetro e l’interno era trasparente.
“Le origini del nostro popolo, i Guardiani, risalgono a tempi remoti, ma non così tanto lontani: il nostro compito era quello di assicurarci che nel Deserto tutto fosse a posto. C’era più movimento li che all’Inferno nonostante l’immobilità del tempo! Ma Dio decise che quello non era un posto buono per noi, eravamo troppo puri per un compito del genere… Abbiamo visto molto, ma non tutto quello che hai visto tu! Questo è un dono che la mia popolazione decide di dare a te!”
Teleyte prese il dodecaedro nelle mani e lo osservò ammirata, come se vedesse un miraggio. Riuscì solo a chiedere le funzioni di quell’oggetto.
“Serve a farti capire se le decisioni che prendi sono giuste o sbagliate!”
In lei era radicato da secoli immemori il concetto di bene e male, sapeva benissimo il significato di entrambe le parole nella loro essenza e se, fino a quel momento, non si era mai posta il dubbio su chi fossero davvero il Bene e il Male, adesso si chiedeva cosa fosse giusto e sbagliato. La differenza tra la retta via e la strada più facile da percorrere.
“Ma…Perché lo dai a me? Fa parte della vostra popolazione, è un simbolo che vi rispecchia, non posso accettarlo!” disse quasi con riluttanza la donna. Con quelle parole protese il palmo aperto per ridare la pietra a Cyrus; gli occhi sbarrati lo guardavano con preoccupazione e un’espressione indecifrabile nel volto: forse era paura!
Solaris allora si chinò all’altezza di Teleyte e con dolcezza chiuse le dita attorno alla pietra.
“Il nostro posto è qui, non ci serve prendere decisioni in quanto come te non ci è stata data questa possibilità: questa pietra ti aiuterà a comprendere meglio ciò che ti turba e più ti tormenta, affinché il tuo spirito rimanga sempre sano e puro. Per noi è un onore affidarti questo simbolo, come lo hai chiamato tu stessa!”
Nella voce di quella creatura c’era qualcosa che somigliava molto alla compassione e allo stesso tempo alla riluttanza: come se Solaris non fosse d’accordo con la decisione presa da Cyrus, ma forse non era la prima volta che ciò accadeva e si era rassegnato.
“Io… Non so come ringraziarvi, davvero!” mormorò la donna a testa china e gli occhi chiusi, le sfuggì una lacrima.
“Non devi ringraziarci: vivere al tuo fianco con Lacos è già appagante di per se!” disse sorridendo Cyrus. Le linee del suo corpo si allontanarono dal suo viso e si sparsero dappertutto in un tripudio di onde azzurre cristalline. Teleyte sorrise e, ringraziando un’ultima volta i due, con un salto scese dall’Albero della Vita arrivando ai piedi della montagna di corpi.
Portò la sigaretta alle labbra un’ultima volta, dopo che ebbe espirato l’ultima voluta di fumo bianco, tirò la cicca tra i corpi ammassati e questi presero fuoco in pochi attimi creando un falò di dimensioni impressionanti, ma non per Signora Morte. La donna aveva preso a contemplare il fuoco e intanto si rigirava tra le mani il dodecaedro: non aveva chiesto ai Guardiani come avrebbe capito i messaggi della Pietra, ma in fondo non glielo avevano accennato e di conseguenza non era sicura che gliel’avrebbero detto. Doveva capirlo lei stessa, quando una cosa era giusta o sbagliata.
Si rendeva conto che, ad un certo punto, le sue idee cominciarono a trapassare completamente il confine che le era stato imposto da Dio stesso, i suoi pensieri erano molto vicini ad assumere una consistenza ed una valenza pressoché umana, tutto ciò che aveva in mente aveva almeno una piccola parte di umanità e questo da un lato le faceva paura, ma dall’latro la affascinava!
Tutto cominciava a trascendere completamente il volere di Dio: in pochi secoli aveva provato emozioni come l’amore vero, non quello che c’era tra lei e suo marito, un amore fraterno dettato dalla razza a cui appartengono; amore verso qualcosa di irraggiungibile, di sognabile.
E poi aveva cominciato a sognare: a sognare di posti deserti in cui la pace regnava sovrana, di strane creature, di momenti mai vissuti ma quasi sempre immaginati, di persone che creavano altre persone… E quello non era un pensiero comune tra gli individui della sua razza, era quasi una cosa proibita, una cosa che non si doveva nemmeno immaginare: procreare altre creature simili a loro. Era una cosa che si poteva fare solo all’Inferno, era una cosa che avevano fatto due Angeli: uno del Paradiso e un altro dell’ Inferno.
A Dio questo non piacque per niente.
E poi, cosa più importante, Teleyte aveva cominciato a pensare. A pensare… Una cosa che capitava raramente tra gli Angeli che stanno a guardare e che si credono superiori alla razza terrena. Il pensiero, per qualsiasi Angelo, è una forma di comunicazione astratta, non serve proprio a nulla perché nel loro luogo di nascita non si pensa… Si vive un esistenza eterna, senza alcuno scopo vero e proprio se non quello di osservare giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, l’essere Umano, per poi dettare giudizio alla morte di un singolo individuo.
Tirate le somme, il Giudizio Universale era stato anticipato di almeno due ere.
Ma sono giudizi presi dall’Alto, sono solo ordini, e gli Angeli obbediscono trascrivendo il volere di Dio e dell’unico Angelo in grado di prendere decisioni: Destino.
Ma questo, per Teleyte, accadeva solo una decina di secoli addietro, adesso la mente di Signora Morte aveva cominciato ad elaborare pensieri, a farsi domande, a pensare e chiedersi: perchè bisogna vivere una vita già predisposta?
Era un tipico dubbio umano, e se in quel momento Dio avesse prestato più attenzione alla mente della donna, avrebbe provato un senso di compassione e avrebbe cercato di spiegare alla donna che nulla era deciso, in quanto l’Uomo, al contrario degli Angeli, possedeva la facoltà di scegliere! E a quel pensiero Teleyte si rese conto che Dio aveva tolto le ali agli Angeli e dato loro l’intelligenza, creando l’uomo.
“L’essere umano è un Angelo caduto…” aveva mormorato infine la donna guardando rapita il danzare del fuoco. Nelle sue narici si era insinuato il tanfo della carne bruciata, dei corpi in decomposizione e del sangue che andava raggrumandosi ed evaporando nell’aria, rendendola dolcemente malsana.
“Ma allora potremmo diventare tutti umani da un momento all’altro…”
“È un pensiero che ti disgusta così tanto, Lacos?”
“È un pensiero che ti attira così tanto, Teleyte?”
La donna si voltò senza guardare colui che gli stava di fronte: una creatura la quale bellezza non avrebbe mai eguagliato nessuno. Aveva i capelli ricci, neri come la pece, gli occhi grandi e azzurri che il mare in confronto possedeva un colore spento; il suo viso aveva qualcosa di umano nel suo complesso, tuttavia mostrava qualcosa che non apparteneva ad una razza così semplice. Il suo corpo era magro ma possente, i suoi muscoli sembravano scolpiti nel marmo. Ogni cosa di lui era perfetta, ma le sue ali gli davano un aspetto superiore a tutti gli Angeli del Paradiso, si poteva notare a primo impatto quanto fosse differente dagli altri.
Ma per Teleyte questo non era importante, poteva esserlo forse all’inizio di tutto, ma dopo secoli e secoli di eternità, ormai non ci faceva più caso.
Lacos si avvicinò alla donna, tentò di avvicinarsi per baciarla, ma lei si ritrasse abbassando il capo, come vergognata di qualcosa. L’Angelo allora prese il cappuccio che le copriva il volto e glielo abbassò sulle spalle: dopo tanto tempo, rimaneva ancora stupito da tanta bellezza. Teleyte aveva la pelle chiara come il latte, quasi vitrea, gli occhi azzurri come il mare che si fermava a guardare ogni giorno, i capelli biondi le ricadevano sulle spalle un po’ mossi. Tuttavia Lacos notò una certa tristezza negli occhi della donna, ed ormai era troppo tempo che la vedeva in quello stato. Lacos sospirò e distaccò gli occhi dalla donna.
“Scusa…” mormorò lei.
“Che sta succedendo, Teleyte? Cos’è che non va?”
“ Tutto.... Tutta questa monotonia, tutta questa… Questa faccenda che va avanti da sempre!”
Lacos alzò lo sguardo verso la donna impaurito, i suoi occhi erano diventati vitrei dallo spavento, aveva paura che stesse venendo un colpo alla donna; Teleyte si fece scappare un singhiozzo e partirono due lacrime da entrambi gli occhi. L’Angelo la abbracciò con forza, lei si lasciò andare ad un pianto forte, un pianto che la fece tremare: da quello che ricordava Lacos, quella era la prima volta che la vedeva piangere.
Alle loro spalle i corpi bruciavano, il fumo di innalzava nel cielo del tramonto, la luna stava prendendo il posto del Sole che ormai era già comparso all’orizzonte dietro il mare. Lacos avvertì che le cose stavano per cambiare e intuì qualcosa quando il fumo emanato dal bruciore dei corpi, da rosso divenne azzurro e poi nuovamente rosso. Dopo alcuni minuti il fumo divenne nero e il fuoco si spense del tutto, solo dopo due ore.
Non era un buon segno.

- - -

La luna di quel piano non era come quella terrestre, aveva qualcosa di diverso, la sua luce era più brillante e quando si rifletteva sulla superficie del mare, vi si poteva intravedere il fondale con tutti i suoi pesci colorati di ogni specie.
Lacos e Teleyte erano l’uno accanto all’altro appoggiati al tronco cremisi dell’albero, erano rivolti verso il mare ed entrambi sembravano osservare la superficie cristallina che andava avanti e indietro, avanti e indietro… Come Teleyte, avanti e indietro come la morte. La donna, ancora una volta, non potè fare a meno di notare quanto lei e il mare fossero simili. Lacos non se ne accorse, ma Teleyte teneva stretta tra le mani la pietra che le avevano donato Cyrus e Solaris. Non aveva intenzione di parlarne con suo marito, non finchè non sarebbe stata sicura di come l’avrebbe presa. Gli Angeli non avevano bisogno di una cosa del genere, gli Angeli stavano sotto l’autorità di Dio e si fidavano ciecamente di lui.
“Hai mai pensato all’umanità?” chiese Teleyte improvvisamente. I suoi occhi adesso brillavano riflettendo la luce della luna, era come guardare un gatto nel buio: occhi che sembravano piccola lucine nella notte.
“In che senso, amore?” chiese lui.
“Nel senso… Vivono, si impegnano nella ricerca di qualcosa che pochi troveranno durante il loro cammino terreno… Nascono, si riproducono e muoiono…. Ma in mezzo cosa c’è? Cosa fanno?”
Lacos rimase turbato da quelle parole, pensò un secondo a come rispondere e gli venne in mente la prima cosa che aveva capito dopo qualche anno che aveva cominciato ad osservarli.
“Si annoiano…”
Teleyte rise, la prima risata dopo un sacco di tempo e l’Angelo la guardò esterrefatto.
“Ma è vero!” incalzò lui. Lei continuò a ridere e quando smise guardò negli occhi Lacos.
“No, amore, non è vero… Coloro che si annoiano nella vita, sono coloro che non hanno obbiettivi, che non hanno sogni su cui contare, coloro che non vanno alla ricerca di qualcosa. Sai cosa ho capito io dell’umanità? Del cosiddetto Progetto Uomo del tuo carissimo Dio? Che nessun uomo, per quanto possa sforzarsi, non conta su niente. Tutte quelle creature senza ali che vivono freneticamente, hanno almeno un sogno da seguire, un obbiettivo da conseguire. La loro vita è una missione, hanno una storia… Noi cosa abbiamo?”
Lacos si trovò la donna di fronte inginocchiata, i suoi occhi stavano brillando di una luce particolare che non le aveva mai visto, una luce piena di speranza e una felicità che man mano stava riaffiorando.
Da dove veniva quella frenesia improvvisa? Cosa aveva intuito che lui non aveva capito prima? Perché provava quell’improvvisa attrazione per una razza stupida come quella umana?
“Vuoi sapere cosa abbiamo noi rispetto a loro? Siamo vicini a Dio più di quanto loro possano sperare, abbiamo le ali e li osserviamo da tempo immemore, solo che loro non lo sanno e sono così stupidi da credere che prima o poi verrà un dio qualunque e a salvarli dalla rovina. Altri non ci credono completamente e vivono la loro vita fingendo di non sapere che sono già morti in partenza, che finiranno tra le ali di un Angelo dannato come Lucifero. Vuoi sapere cosa abbiamo noi che non hanno loro? Siamo eterni, siamo immortali, il nostro futuro non è un mistero e…”
Gli occhi di Teleyte si illuminarono di colpo, li allargò e aprì anche la bocca con fare stupito: in un colpo solo aveva capito ciò che per tutti quegli anni le era sfuggito.
“Che succede?” chiese Lacos fermandosi di colpo.
“Hai appena ammesso che non te ne frega niente di ciò che ha creato Dio e soprattutto hai ammesso di non aver capito il senso del suo progetto!” disse Teleyte.
“Cosa…?”
“Chi sei tu? Lacos, chi sei tu?? Destino? L’unico Angelo alla pari di Dio, tu sei Destino, colui che decide ogni cosa, colui che cambia i paini di Dio? Si, amore mio, tu sei Destino, Lacos. Ma in realtà, dentro cosa credi di essere? La tua superbia ci porterà solo male e ciò che non è avvenuto all’inizio dei tempi, potrà accadere da un momento all’altro senza che noi ce ne accorgiamo, senza che se ne accorga Dio!”
Teleyte aveva un sorriso che Lacos le aveva visto solo quando aveva tolto la vita alla sua prima vittima, quando aveva preso la totale consapevolezza di quanto fosse utile ciò che le era stato chiesto di fare, quando aveva compreso l’importanza vera e propria di ciò che stava facendo. Lacos rimase esterrefatto da quelle parole improvvise, sapeva che Teleyte fosse una donna dura, fredda, ma non l’aveva mai vista in quel modo e le faceva quasi paura. Ma non si scoraggiò.
“Ma tu hai idea di cosa stai dicendo? Teleyte, che cazzo ti prende?”
“È successo che ho cominciato ad usare ciò di cui il nostro Dio ci ha privati: il cervello per pensare! E detto questo, adesso vado a riposare!”
La donna si alzò, indossò la giacca nera che la avvolse proteggendola dal gelo notturno e con un balzo raggiunse il primo ramo.
“Teleyte aspetta…” Lei si fermò e guardò l’Angelo Destino sotto di lei che la guardava preoccupato, improvvisamente. Era senza parole, non sapeva cosa dire.
“Scusa tesoro, ma ho bisogno di riposare, domani sarà una lunga giornata!” Le bastarono altri tre salti per salire quasi in cima all’Albero della Vita; si distese su un ramo abbastanza largo e liscio da poterle fare da giaciglio. Teneva il dodecaedro di Cyrus in mano: si era colorato di rosso.
Senza che Lacos se ne accorgesse, Teleyte aveva messo la pietra vicino al marito e quando aveva pronunciato tutto quel discorso sull’eternità e tutto il resto, la pietra era diventata rossa. Significava che non solo non era ciò che pensava davvero Lacos, ma che soprattutto non era la cosa giusta! Teleyte si distese, tenne la pietra tra le mani e con una certa inquietudine cercò di rilassare il corpo. Sentiva suo marito tirare pietre nell’acqua, pietre che saltavano e danzavano sulla superficie liquida come tanti pensieri che saltano alla mente e poi vanno via.
La donna avvertì un movimento alle sue spalle e dopo qualche attimo accanto a lei, accovacciato, apparve Cyrus.
“Bella la luna oggi, vero?” Teleyte sorrise e annuì.
“Cosa è successo?” chiese poi la creatura alla donna. Teleyte rimase un secondo a pensare, il sorriso svanì dalle sue labbra e l’espressione divenne cupa.
“Ho capito che in tutto questo tempo, la maggior parte di noi non ha capito proprio nulla!” rispose lei infine.
“è vero, si forse hai ragione… Ma non tutti… Tu hai capito qualcosa, una cosa che ti sfuggiva da tempo, ma che avevi sempre avuto dentro! L’invidia!”
Il volto della donna divenne di marmo: come poteva quella creatura percepire il suo stato d’animo in modo così cristallino? Era come se le leggesse la mente, come se fosse dentro di lei.
“Hai idea del perché tuo marito ti abbia detto quelle cose?”
“Si, forse si… In fondo la soluzione mel’ha fornita lui stesso con il suo discorso di eternità!”
“Già…” mormorò lui.
Teleyte rimase silenziosa per qualche minuto, entrambi si ritrovarono a fissare la luna e il mare illuminato dalla sua luce splendente. Era incantevole e faceva paura allo stesso tempo: Teleyte si chiese cosa sarebbe successo se avesse deciso di oltrepassare i confini prestabiliti, se avesse raggiunto il limite di quella dimensione, in modo differente da come ne usciva ogni giorno! Cosa sarebbe successo se avesse squarciato il manto celeste che stava sopra di lei? Cosa vi avrebbe trovato?
“La sai la verità qual è Cyrus?”
La creatura guardò Teleyte sorridendo e con aria curiosa. Teleyte prese la pietra in mano mentre formulava quell’ultimo pensiero e la pietra divenne azzurra, segno che ciò che aveva in mente era la verità.
“La verità, è che noi Angeli invidiamo gli Umani in quanto loro hanno qualcosa da perdere!”
Con quelle parole Teleyte chiuse gli occhi e il sonno la accolse tra le sue braccia con dolcezza e senza incubi per la prima volta, dopo secoli e secoli.

DKCC
 
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